L’umanità non è mai stata più istruita di oggi. Grazie a internet non ha mai avuto accesso come oggi a una mole così sterminata di informazioni. Queste considerazioni valgono per tutto il mondo industrializzato e per una parte crescente del mondo in via di sviluppo.
Eppure, in modo diverso rispetto a quanto ci si immaginava all’inizio dell’era industriale, questi risultati corrispondono a una opinione pubblica fortemente influenzata da teorie anti-scientifiche e dal complottismo. I cicli delle “bufale” sono aumentati in natura, in durata e in persistenza e sembrano molto resistenti al cosiddetto “de-bunking”, ossia allo smascheramento.
Il caso più emblematico è forse quello dei vaccini: per la prima volta nella storia diminuiscono i bambini con elementari difese immunitarie a seguito di una truffa scientifica, smentita da anni, che ha provocato un’onda lunghissima di scetticismo che è difficile non inquadrare nel campo della superstizione irrazionale.
Il problema è che il modo in cui siamo abituati a confrontarci con la superstizione è relativo alla mancanza di educazione e all’ignoranza. Di conseguenza rimaniamo senza strumenti quando a non vaccinare i bambini sono persone istruite che hanno letto su internet una serie di fesserie scritte in maniera plausibile, decidendo di affidare a queste pseudo-notizie addirittura la salute dei propri figli.
La crisi di sfiducia non riguarda solo la scienza, ma tutta l’informazione ritenuta “ufficiale”. Michael Gove, ex ministro conservatore, nella campagna a favore della Brexit affermò che “la gente non ne può più degli esperti”. Se questo è vero, diventa logico affidarsi al loro contrario: gli improvvisati, i senza esperienza, quelli che non ne sanno. Ciò che tutti evitano nella propria vita quotidiana – un medico che non ha mai operato, un dentista che non ha mai tolto un dente – è diventato plausibile. Gli USA hanno eletto, per la prima volta nella storia, un presidente che non ha mai ricoperto alcun incarico pubblico o militare.
Proprio l’elezione di Trump mostra, dalla prospettiva opposta, che anche chi continua a nutrire fiducia nelle istituzioni, nella scienza e nelle competenze, è a sua volta vittima delle sue superstizioni. Infatti, la vittoria di Hillary Clinton era data da tutti, politici, analisti, giornalisti, come certa, nella sistematica rimozione collettiva delle molte informazioni che esistevano sulla forza del candidato Repubblicano. Ma, come accade ai complottisti in altri campi, informazioni difformi erano considerate propaganda da ignorare.
Una spiegazione a questi fenomeni viene offerta dal nuovo paper di Volta e scritto dal professor Veltri dell’Università di Trento. La chiave è proprio nell’intersezione dei meccanismi psicologici alla base delle decisioni umane con la sfera pubblica organizzata dai social media.
Spiega Veltri che gli esseri umani quando prendono delle decisioni non compiono praticamente mai un ragionamento rigoroso di tipo scientifico, principalmente perché non ne hanno tempo e modo. Ad esempio, prendiamo l’antibiotico perché ce lo dice il dottore, non perché sappiamo come funziona. La “fiducia nel dottore” è il parto di scorciatoie mentali che usiamo sempre uguali: la cosa in passato ha funzionato, il dottore fa parte della nostra comunità, tutti fanno così, eccetera. Questi meccanismi operano di continuo: le informazioni a disposizione sono filtrate da scorciatoie mentali per metterci in grado di prendere le decine di decisioni che ogni giorno ognuno compie. In particolare, quando queste si riferiscono alla sfera pubblica, l’identità sociale e di gruppo diventa il filtro cruciale.
L’importanza dei social network ha alterato questo processo perché, data la mole enorme di informazioni presenti su internet, questi sono diventati per molti il principale mezzo di selezione che tuttavia privilegia per la nostra lettura notizie e commenti che corrispondono alle convinzioni che abbiamo già espresso. Finiamo dunque per ascoltare sempre le stesse cose rimbalzandocele in cosiddette “camere dell’eco” chiuse, in comunità che non intersecano tra loro. Quindi le “scorciatoie mentali”, che sono meno robuste di un ragionamento scientifico, ma che ci hanno ben servito da centinaia di anni, ora sono vittima del paradosso per cui anche se abbiamo molta più informazione a nostra disposizione, è diminuita drasticamente la varietà dell’informazione a cui siamo esposti.
Messa così la situazione appare problematica perché sembriamo destinati a sprecare la grande occasione dell’informazione per tutti, a causa della frantumazione dell’opinione pubblica in diverse opinioni pubbliche non dialoganti. Eppure, come sottolinea Veltri, esistono molti modi per rompere questi circoli viziosi, sia in tema di strategie private che di strategie pubbliche.
Forse è questa la lezione principale del saggio: le decisioni degli esseri umani non seguono quasi mai un percorso lineare di razionalità utilitaristica, ma ciò non significa che siano casuali. In altre parole non siamo davanti all’esplosione dell’irrazionalità. Al contrario, è estremamente razionale – e infatti lo facciamo tutti in continuazione – usare delle scorciatoie mentali efficienti per affrontare la maggior parte dei problemi che abbiamo, anziché sprofondare in un indeciso attendismo.
Detto altrimenti, la razionalità dell’essere umano ha dei limiti anch’essi molto razionali di cui va presa crescente consapevolezza. Allora, per andare avanti, possiamo guardare al nostro passato. Passarono decenni dall’invenzione dell’automobile a quella del semaforo. Tra le due invenzioni vi furono purtroppo molti incidenti che si sarebbero potuti evitare se il semaforo fosse arrivato prima.
Internet è ancora una rivoluzione largamente positiva, aperta e c’è ancora tanto bisogno di istruzione nel mondo. Il rischio sempre presente è che i progressisti oscillino dall’entusiasmo acritico verso la rete al pessimismo cosmico che vede nella rete la fonte di tutti i mali. Piuttosto, dobbiamo iniziare rapidamente a porci il problema di cosa significhi per la nostra civiltà inventare il semaforo, o i semafori, necessari sia a non farsi male che ad andare veloci quando siamo in autostrada.