A otto anni di distanza dalla grande crisi finanziaria, la divergenza fra l’economia europea e quella Usa non potrebbe essere più evidente. In un’intervista esclusiva con Repubblica organizzata durante un incontro del think tank “Volta”, Jason Furman, a capo dei consiglieri economici del presidente Usa Barack Obama, incoraggia l’eurozona e l’Italia a usare la politica fiscale per spingere la crescita invece di preoccuparsi eccessivamente per il debito pubblico.
L’economia Usa ha superato da anni il livello raggiunto prima della crisi, mentre questo non è ancora accaduto per l’eurozona. Come lo spiega?
“La ripresa Usa, rispetto a quella di altri Paesi, è stata un vero successo. La chiave è stata agire subito e con forza su quattro fronti: la politica fiscale, con le nostre manovre di stimolo; quella monetaria, abbassando subito i tassi a zero; la ricapitalizzazione delle banche, obbligando tutti gli istituti a prendere i fondi che avevamo messo a disposizione; e riconoscendo subito, sempre nel sistema bancario, i problemi dal punto di vista creditizio”.
In Italia si dice sia impossibile attuare politiche espansive per via del debito pubblico, che ha superato il 130%. Lei che ne pensa?
“I mercati finanziari non sembrano essere eccessivamente preoccupati per il debito o il deficit. I tassi d’interesse dell’Italia sono oggi molto più bassi rispetto a quelli che avevamo noi nel 2008-9. Il pericolo è essere troppo preoccupati per il debito, quando invece bisogna avere flessibilità per gestire situazioni come la crisi dei rifugiati. La soluzione è combinare come abbiamo fatto noi le politiche espansive necessarie con un programma di riduzione del deficit e del debito di medio periodo”.
La crescita mondiale sta deludendo, ma ci sono Paesi come la Germania che si oppongono a manovre fiscali espansive. Crede ci sia davvero un consenso globale per politiche di sostegno alla crescita?
“Il dibattito all’interno del G7 si sta spostando. Un numero sempre maggiore di Paesi si sta convincendo del ruolo che può giocare la domanda aggregata. Per esempio, nell’eurozona si è deciso di adottare politiche di bilancio flessibili per gestire la crisi dei rifugiati. Fare lo stesso per quanto riguarda le spese per la sicurezza sarebbe un altro passo importante”.
La crisi greca rischia di esplodere di nuovo in estate. Come se ne esce?
“Il nostro approccio è incoraggiare tutti a raggiungere una soluzione, ovvero concludere l’attuale review del programma di aggiustamento in maniera ordinata. Crediamo questo sia impossibile senza una riduzione del debito greco, ma allo stesso tempo ci vogliono anche riforme. Anche se pensiamo che le nostre economie siano meglio isolate da una possibile crisi in Grecia, non conterei sul fatto che le misure prese siano possano bloccare completamente un eventuale contagio”.
Una delle grandi sfide che accomuna l’Italia, gli Usa e tutte le economie avanzate è quella della produttività la cui crescita è ovunque molto lenta. Come si può farla ripartire?
“Una delle ragioni dietro la bassa crescita della produttività è la debolezza degli investimenti. Dunque con la crescita della domanda interna, dovremmo vedere una ripartenza degli investimenti e con essi della produttività. C’è però poi un problema specifico europeo e italiano: la produttività dovrebbe convergere ai livelli Usa, ma sta divergendo. Se fossi in questi Paesi sarei ossessionato da questo problema. Per far ripartire la produttività non basta investire in ricerca e istruzione. Bisogna permettere alle aziende meno produttive di uscire dal mercato e fare entrare quelle più efficienti”.
Nonostante l’economia Usa sia ripartita, molti americani sono arrabbiati con la vostra amministrazione e scelgono alternative quali Donald Trump. Come lo spiega?
“Se chiedi ai cittadini americani qual è la loro percezione della situazione economica, le risposte sono abbastanza positive. Ma è vero, c’è un certo livello di insoddisfazione. In parte, è un fenomeno non economico. Ma per anni la crescita dei salari e del reddito è stata una vera sfida. Se il tuo reddito non cresce molto per un po’ di tempo, allora questo diventa un problema”.
Intervista pubblicata su la Repubblica, il 7 aprile 2016