Lo ha detto bene, in un tweet di stamattina, Florian Philippot, il braccio destro di Marine Le Pen: “il loro mondo crolla, il nostro si costruisce”. Ha ragione: stiamo entrando in un mondo nuovo del quale non conosciamo né gli abitanti, né la geografia, né tantomeno gli usi e le regole. A partire da qui, comincia la terra incognita. Hic sunt leones, come scrivevano i romani sulle mappe delle regioni nelle quali non osavano avventurarsi.

Dopo lo shock di questa notte (ma prima o poi dovremo rassegnarci al fatto che ormai quasi tutti i cigni sono neri, come dice Marco Simoni), servirà un po’ di tempo per iniziare ad orientarsi nel nuovo mondo. Però di tempo ne abbiamo poco. Perché anche su questa sponda dell’Atlantico, i leoni sono usciti dalle gabbie e si aggirano per le strade di Londra, di Parigi, di Bruxelles. Per non parlare di Roma.

Allora proviamo a buttare giù per lo meno i contorni di una di quelle mappe rinascimentali, ancora imprecise, che però almeno provavano a formulare qualche ipotesi sulle terre dei leoni.

  1. Nel nuovo mondo l’opinione pubblica non esiste più. C’era una volta un’educata convenzione linguistica: l’opinione pubblica, una creatura artificiale formata dai sondaggi e dai loro interpreti accreditati, giornalisti, opinionisti e politologi. Stamattina alle prime luci dell’alba, ora italiana, è stato ufficialmente pronunciato il suo decesso.
  2. Nel nuovo mondo ciò che è virale è vero. Poco importa che Casaleggio lo abbia detto o meno. L’intero percorso di Trump si è fondato su balle spaziali accuratamente confezionate, a partire dalla prima, quella che lo ha lanciato: l’idea che Obama non fosse nato negli Stati Uniti. Lo stesso è accaduto in Gran Bretagna con Brexit e avviene quotidianamente dalle nostre parti. E’ la logica dei social che si sovrappone, potenziandola, all’antichissima propensione umana per i complotti e per tutte le opinioni che rafforzano i nostri pregiudizi.
  3. Nel nuovo mondo le risorse tradizionali della politica servono a poco. Le organizzazioni di partito, gli spot televisivi, le mega-campagne da miliardi di dollari: Trump ha dimostrato quanto siano inefficaci, prima scalando la poderosa macchina del GOP e poi demolendo quella di Hillary, con una campagna fatta in casa, relativamente low-cost. Contro di lui non è servito neppure lo straordinario apparato dei big data tirato su da Obama nel 2012.
  4. Nel nuovo mondo l’esperienza è un disvalore. E la competenza pure (per non parlare della buona educazione).
  5. Nel nuovo mondo l’innovazione fa paura. I genietti di Silicon Valley continuano a parlare di macchine che si guidano da sole, con gli occhi lucidi per l’emozione, e noi con loro. Ma ci siamo scordati che, negli Usa, l’occupazione numero uno in assoluto è guidare un veicolo. Ci sono tre milioni di autotrasportatori e milioni di altri che si guadagnano da vivere al volante di un taxi, di un autobus, di una limousine. Come pensiamo che si sentano tutte le volte che proclamiamo le magnifiche sorti e progressive delle auto che si guidano da sole?
  6. Nel nuovo mondo il pragmatismo è sinonimo di fatalismo. Il faticoso percorso di adattamento alle realtà del mercato e della globalizzazione compiuto dalla sinistra americana ed europea negli anni novanta è ormai diffusamente percepito come una manifestazione di impotenza, se non addirittura come un tradimento. Sia a sinistra (vedi Sanders) che a destra (vedi Trump), il desiderio di soluzioni radicali, che facciano saltare il banco, è diventato irresistibile.
  7. Nel nuovo mondo non ci sono limiti. In passato c’erano alcuni argini: il rispetto di certe istituzioni super-partes, i diritti umani e quelli delle minoranze, un’attenzione alle ricadute internazionali, cose così. Oggi sono saltati. Il nuovo mondo sarà forse ancora democratico. Ma di certo non sarà più liberale.
  8. Nel nuovo mondo la distruzione fa premio sulla costruzione, sempre e dovunque (che è poi un po’ la sintesi di tutto).

Si potrebbe andare avanti chissà quanto a mappare i confini della terra incognita nella quale abbiamo appena iniziato ad addentrarci. Ci proveremo, anche con Volta, nelle prossime settimane – e sono certo che altri lo faranno meglio di noi.

C’è una cosa, però, che vale la pena di sottolineare prima di chiudere.

In mezzo a tutte le cose che cambiano ce n’è una che è rimasta uguale. Vince la politica. Per quanto volgare, improvvisata, sbagliata e perfino pericolosa, la politica, quando è capace di entrare in sintonia con lo spirito dei tempi, prevale sui calcoli e sui mercati, sui sondaggi e sui big data, sulle mega-organizzazioni e su qualunque altro potere, forte o fortissimo che sia. E rispetto a questo, non serve a nulla rifugiarsi nell’invettiva. Hillary ha perso definitivamente la Casa Bianca quando ha definito “deplorables”, deplorabili, i supporters del suo avversario. Oggi l’America e l’Europa sono popolati da una maggioranza di deplorabili. Gente che ha la sensazione di aver perso il controllo sul proprio destino e che è disposta a tutto pur di provare a riacquistarlo.

Non è un’aspirazione priva di senso. E’ l’essenza stessa della democrazia: una forma di governo il cui principale beneficio dovrebbe essere, per l’appunto, quello di dare ad una comunità il sentimento di avere un controllo sul proprio destino. E per ora le uniche risposte che sembrano funzionare sono quelle che puntano sulla chiusura e sull’improbabile ritorno ad un piccolo mondo antico nel quale si stava tra di noi, senza troppe complicazioni. Può darsi che ci sia spazio solo per quelle. E che l’ondata del ripiego (forse dovremmo smettere di chiamarlo populismo, forse dobbiamo trovargli un nome più convincente) sia inarrestabile.

Io non credo che le cose stiano così. Hillary ha perso perché non ha fatto politica, o non l’ha fatta fino in fondo. Lo dimostra un dettaglio apparentemente insignificante: la sua campagna elettorale non aveva neppure uno slogan. Stronger together? I’m with her? Hillary for America? Mai capito quale fosse – e comunque erano uno peggio dell’altro.

Saremo pure entrati in un mondo nuovo, ma i fondamentali rimangono gli stessi. Per vincere non basta essere i primi della classe, bisogna saper guidare e soprattutto emozionare. La leadership e la visione politica fanno premio su tutto il resto. E non può esistere una vera campagna che non abbia dentro di sé la passione contagiosa di voler cambiare il mondo.

Forza allora, andiamo. C’è molto lavoro da fare.